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Michelàngelo Buonarroti.

Architetto, scultore, pittore e poeta italiano. Discendente da un'antica famiglia fiorentina, fu avviato dal padre, podestà di Chiusi e di Caprese, agli studi umanistici sotto la guida di Francesco da Urbino. A Firenze, dove trascorse la giovinezza, si svolse il suo tirocinio artistico (1488) presso la bottega di Domenico Ghirlandaio, sotto la guida del quale si dedicò all'apprendimento della tecnica della pittura a fresco. Nel 1489 iniziò a frequentare i giardini medicei presso San Marco, dove Bertoldo di Giovanni, allievo e collaboratore di Donatello, avviava i giovani alla scultura. Già in questa fase M. aveva individuato le sue principali fonti di ispirazione nell'opera di Giotto, Masaccio e Donatello e il suo punto di riferimento storico nei valori plastici della scultura antica, come appare evidente dalle opere risalenti al 1490-92, quali i rilievi della Madonna della Scala e della Battaglia dei Centauri (Firenze, Casa Buonarroti). In queste due opere la solennità monumentale mutuata dalla scultura antica si fonde con il recupero dei modelli legati alla lezione del primo Rinascimento, risolvendosi in un vigoroso ed evidente plasticismo delle forme. Accolto da Lorenzo e poi da Piero de' Medici, venne ammesso nella cerchia medicea di cui facevano parte i massimi poeti e filosofi fiorentini del tempo: Poliziano, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino. M. assimilò le dottrine platoniche riproposte proprio in quegli anni nella cerchia medicea: esse divennero un elemento fondamentale dell'arte michelangiolesca, presenti sia nella produzione pittorico-scultorea che in quella poetica, ed esplicitantesi soprattutto nel culto della bellezza e nella dedizione all'amore. Dopo la morte del Magnifico e di Poliziano, M. si recò a Bologna, dove rimase per circa un anno lavorando all'arca di San Domenico (figure di S. Petronio, di S. Procolo e di un Angelo). Trasferitosi a Roma (1496) per invito del cardinale Riario, M. si impose in breve tempo come il maggiore artista del tempo. Al Bacco (Firenze, Museo del Bargello), di impostazione classicista, seguì la Pietà conservata oggi in San Pietro, prima versione di un motivo che sarebbe ritornato costantemente nell'opera di M.: scolpita prima del 1501, l'opera costituisce un'interpretazione intensamente poetica del tema della morte, sottolineata dal modellato morbido e dalla resa minuziosa dei dettagli anatomici. Agli stessi anni risale anche la Madonna col Bambino (Bruges, Notre-Dame), stilisticamente accomunabile alle opere precedenti per l'estrema eleganza e finezza di esecuzione. Ritornato a Firenze nel 1501 M., artista ormai affermato e richiesto dalle più celebri famiglie del tempo, ottenne importanti commissioni. Si dedicò ancora alla scultura eseguendo il Tondo Pitti (Firenze, Museo del Bargello) e il Tondo Taddei (Londra, Royal Academy), opere nelle quali si fa sensibile l'influsso leonardesco. A fianco del grande maestro, infatti, M. lavorò in quegli stessi anni per la decorazione del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio (è perduto un suo cartone per la Battaglia di Cascina). Fu proprio in seguito a tale esperienza che M. si volse alla pittura eseguendo la Sacra Famiglia o Tondo Doni (Firenze, Galleria degli Uffizi), al quale fecero seguito la Madonna di Manchester e la Deposizione (entrambe a Londra, National Gallery). Il linguaggio pittorico di M., diversamente da quello leonardesco, al quale sembra contrapporsi quasi polemicamente, mostra un forte dinamismo, che tende a forzare il contorno delle figure e a conferire una maggiore animazione, esaltata anche dai colori privi di qualsiasi sfumatura e fortemente contrapposti. M. non abbandonò l'attività scultorea: anzi è proprio a questo periodo che risale una delle sue opere più celebrate, il David marmoreo (Firenze, Galleria dell'Accademia), che venne collocato davanti a Palazzo Vecchio e che, nella sua monumentalità e nel suo potente plasticismo, realizza l'ideale dell'uomo rinascimentale. La gigantesca figura fu ricavata da un blocco di marmo precedentemente sbozzato da Agostino di Duccio e poi abbandonato: M. superò con grande abilità il condizionamento creativo impostogli dal materiale già parzialmente plasmato, riuscendo a modellare una figura capace di esprimere, pur nella staticità dell'atteggiamento, un'intensa potenzialità dinamica, un'energia compressa nella tensione e nel vigore della struttura muscolare. L'Opera di Santa Maria del Fiore commissionò inoltre all'artista 12 statue di apostoli, delle quali tuttavia egli realizzò (parzialmente) solo il San Matteo, mentre negli stessi anni lavorò anche alle statue per l'altare Piccolomini del duomo di Siena. Nel 1505 papa Giulio II commissionò a M. la costruzione del proprio monumento funebre in San Pietro, la cui realizzazione avrebbe richiesto diversi decenni. Dopo un lungo soggiorno a Carrara per l'estrazione del marmo, M. elaborò un progetto grandioso, che fu però accantonato quasi subito (1506) dal papa, distolto dall'ambizioso progetto di ricostruzione di San Pietro. Alla morte di Giulio II (1513) M. propose un secondo progetto e realizzò tre statue: lo Schiavo ribelle (Parigi, Louvre), lo Schiavo morente (Parigi, Louvre) e il Mosè (Roma, San Pietro in Vincoli), alle quali successivamente avrebbe aggiunto i quattro Prigioni (Firenze, Galleria dell'Accademia), una delle opere più potentemente drammatiche dell'artista per l'irrisolto contrasto che oppone i corpi giganteschi alla materia che ancora li rinserra. L'ultimo progetto per la tomba di Giulio II risale al 1545; nello stesso anno essa fu realizzata in San Pietro in Vincoli soprattutto da aiuti del maestro. Nel 1508 intanto M. si era impegnato ad affrescare la volta della Cappella Sistina; il lavoro lo occupò per quattro anni. Il programma iconografico, molto ricco e complesso, e ampliato rispetto a quello originario, prevedeva al centro lo svolgimento per quadri successivi delle Storie della Genesi, ai lati le figure dei Profeti, delle Sibille, degli Ignudi, compresi in una finta struttura architettonica che rimandava alla reale forma a volta della cappella. La narrazione aveva valore storico (le prime vicende della storia dell'umanità) e insieme simbolico, significando implicitamente l'elevazione dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino, secondo un'interpretazione neoplatonica della storia biblica. Dopo la morte di Giulio II e l'avvento al soglio pontificale del cardinale Giovanni de' Medici, Leone X, fu affidata a M. la costruzione della Sagrestia Nuova di San Lorenzo, destinata a cappella funeraria della famiglia Medici (vi sono conservate le tombe di Giuliano e Lorenzo de' Medici). In quest'opera il linguaggio architettonico brunelleschiano (ancora presente nelle membrature in pietra serena) viene rielaborato e ridefinito in un più articolato rapporto proporzionale degli elementi e in un più intenso legame con i gruppi scultorei inseriti nello spazio: l'altare è infatti sovrastato da una Madonna col Bambino, alla quale sono rivolti gli sguardi delle due figure dei Medici, mentre sui monumenti funebri sono poste le poderose statue del Giorno e della Notte, dell'Aurora e del Crepuscolo, simbolo, nell'audace e sofferta torsione delle figure, del perenne fluire del tempo ed espressione della meditazione michelangiolesca sul tema della morte. Nella commistione di levigatezza formale dei nudi femminili e del rude non finito delle figure maschili, questi gruppi raggiungono uno dei punti più alti dell'arte michelangiolesca, superbi nella realizzazione e perfettamente compiuti. Negli stessi anni M. lavorò alla costruzione della Biblioteca Mediceo-Laurenziana, nella quale emerge un rinnovato linguaggio architettonico, che stravolge l'armonia dei rapporti proporzionali in nome di un'assoluta libertà nell'organizzazione spaziale. La cacciata dei Medici da Firenze (1527) aprì per M. un periodo di impegno diretto nel governo della città, in qualità di "governatore e procuratore generale sopra alla fabbrica e fortificazione delle mura". Durante l'assedio di Firenze partecipò alla difesa della Repubblica e, alla caduta di questa (1530), ottenne il perdono di papa Clemente VII: ciò gli permise di continuare la propria attività (Cristo risorto per Santa Maria sopra Minerva a Roma, la Vittoria in Palazzo Vecchio a Firenze). Trasferitosi definitivamente a Roma nel 1534, dopo la morte del padre, Clemente VII gli affidò l'incarico (poi confermatogli da Paolo III) di dipingere la parete dell'altare della Cappella Sistina. L'affresco del Giudizio universale, che impegnò M. per diversi anni (1536-41), utilizza un'iconografia inedita, molto lontana da quella tradizionale, trasformando il giudizio in una grandiosa e terribile catastrofe cosmica, che travolge l'umanità intera. Lo spazio appare illimitato, non più racchiuso entro misure o strutture, i rapporti proporzionali fra le immagini sono sconvolti, la prospettiva viene continuamente alterata. L'opera costituisce un punto di arrivo non solo per l'arte rinascimentale, stravolta nei suoi principi di equilibrio, armonia, serenità, ma per tutta la cultura e il pensiero rinascimentale, esprimendo una visione disperata e tragica del destino dell'uomo, sgomento di fronte ad una condanna senza appello. Tale visione derivò a M. probabilmente anche dai circoli spiritualisti romani per la riforma della Chiesa, con i quali ebbe contatti attraverso Vittoria Colonna. L'importante intervento di pulitura, i cui risultati furono presentati nel 1993, restituì al Giudizio il colore brillante e ne consentì il recupero dei valori pittorici e cromatici originari. Terminata la decorazione della Cappella Sistina, M. tornò a dedicarsi all'architettura: operò la sistemazione prospettica e urbanistica di piazza del Campidoglio, trasformò parte delle antiche terme di Diocleziano nella basilica di Santa Maria degli Angeli; progettò la Cappella Sforza all'interno della chiesa di Santa Maria Maggiore; progettò Porta Pia; completò Palazzo Farnese (lasciato incompiuto da Antonio da Sangallo, il Giovane). Il progetto che più impegnò M. negli ultimi anni di vita fu tuttavia quello per il rifacimento di San Pietro che, riprendendo la pianta centrale voluta da Bramante, trasformò in un organismo plastico complesso e poderoso, culminante nella enorme cupola, terminata tuttavia solo dopo la sua morte. Le ultime opere pittoriche (Conversione di Saul e Martirio di S. Pietro, 1541-50, nella Cappella Paolina in Vaticano) raggiungono ancora esiti stilistici elevati, così come le ultime prove scultoree. Fra queste spiccano la Pietà di Palestrina (Firenze, Galleria dell'Accademia), la Pietà del duomo di Firenze e l'incompiuta Pietà Rondanini (Milano, Castello Sforzesco), rivisitazione in chiave altamente drammatica di un tema caro a M. La ricerca della bellezza e della perfezione formale è completamente abbandonata, nell'ansia di esprimere la liberazione dello spirito dai vincoli terreni. ║ M. scrittore: fin da giovane, M. mostrò un vivo interesse per la poesia e una grande ammirazione per l'opera di Dante e Petrarca. Della sua produzione poetica rimangono circa 300 componimenti, quasi tutti posteriori al 1520, anche se, con ogni probabilità, M. cominciò a comporre versi molto presto, stimolato dal contatto con lo stimolante ambiente fiorentino dell'epoca. Il giudizio sulla produzione poetica michelangiolesca ha spesso risentito, soprattutto nel passato, del fascino complessivo del personaggio ed è stato condizionato dalla grandezza dell'opera pittorica, scultorea e architettonica dell'artista; oggi si tende invece ad approfondire la conoscenza della scrittura michelangiolesca, chiarendone le fonti, scoprendone i legami con l'ambiente fiorentino, soprattutto mettendone in luce le componenti più originali e i caratteri peculiari dello stile (quali la "petrosità" e l'austerità del linguaggio, il vigore espressivo). Gli studi più recenti hanno evidenziato il carattere sperimentale della poesia di M., in particolare di quella risalente agli anni 1520-43, che oscilla fra idealismo e realismo, fra stile popolareggiante e dotto; i componimenti degli anni 1543-47, in gran parte dedicati all'amato Tomaso Cavalieri e all'amica Vittoria Colonna, mostrano invece una maggiore omogeneità, nel costante contrasto fra desiderio e tensione sensuale e ansia religiosa. L'ultima produzione lirica di M. è incentrata sui temi della vecchiaia e dell'attesa della morte. Nel complesso la poesia michelangiolesca occupa un posto di rilievo nel panorama letterario del Cinquecento, soprattutto per l'autonomia che riesce a mantenere nei confronti del diffuso petrarchismo e per il tono autenticamente sincero della sua ispirazione. Tuttavia essa appare gravata da una evidente discontinuità nella resa stilistica e dal carattere spesso occasionale. Riflesso della tormentata e sofferta esistenza dell'artista è il Carteggio, illuminante su molti aspetti della sua personalità e quindi della sua attività artistica, alla quale tuttavia sono scarsi gli accenni diretti (Caprese, Arezzo 1475 - Roma 1564).
Michelangelo: particolare del “Giudizio Universale”

Michelangelo: (da sin.) “Il David” (Firenze, Galleria dell'Accademia) e “La Pietà Rondanini” (Milano, Castello Sforzesco)